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Vitiello da Agugiaro&Figna

Salto nel vuoto: il “percorso emozionale” e gustativo di Ciccio Vitiello in trasferta sulla nuova Sky Room in cima allo stabilimento del mulino di Collecchio dove nascono le farine 5 Stagioni.

Il menu – in realtà alla cieca, spiegato pizza per pizza – si chiama Salto nel vuoto, e siamo all’ottavo piano (e oltre, forse) della sede della Agugiaro & Figna Molini, nella nuova sky room panoramica in vetta allo stabilimento di Collecchio (Parma). Detta così potrebbe sembrare una serata rischiosa: invece è scorsa molto piacevolmente, tra assaggi e chiacchiarate, accompagnata dall’eccellente salmone affumicato e stagionato Upstream di Claudio Cerati – la cui sede è a pochissima distanza dal mulino – e dallo Champagne Brut Réserve di Charles Heidsieck, iconico champagne multi-vintage della Maison.

La serata a cui ho partecipato, invitata insieme a un ristretto gruppo di colleghi, ha dato il via a una serie di cene “eccentriche” che saranno ospitate nel nuovo spazio inaugurato con l’occasione, pensato appunto come punto di incontro, convivialità e sperimentazione interno all’azienda e anche come punto d’osservazione sul “Bosco del Molino” messo a dimora dal 2021: 13 ettari ad elevata biodiversità e a capacità di accumulo di biomassa, comprensiva di 18mila alberi piantati per assorbire il 100% della CO2 emessa dai quattro stabilimenti in Italia. Un ulteriore passo verso la sostenibilità dell’azienda, che fa parte del consorzio forestale KilometroVerdeParma e da quattro anni è sostenitrice di Slow Food Italia.

Prima della cena, abbiamo avuto l’occasione di fare una visita in azienda – i cui impianti sono in funzione 24 ore su 24 per circa 350 giorni l’anno – con la guida di Riccardo Agugiaro e Alberto Figna, che è stata l’occasione per scoprire da vicino molte cose interessanti sulla lavorazione del grano e sulle possibilità di innovazione. Per esempio, grazie agli studi di Figna – che ha una grande esperienza tecnica – è nata MIA, linea di farine ottenute da Macinazione Integrata (Autentica): si tratta di un processo brevettato che associa due tipologie di molitura, quella più tradizionale a pietra (molto decisa, che dà farine rustiche e profumate) con quella moderna a cilindri (più delicata, che dà farine più fini) prendendo il meglio da entrambe e conciliando tradizione e tecnologia per ottenere “sfarinati integrali o semi-integrali di granulometria mirata e precisa, igienicamente più sicuri, con prestazioni sempre costanti, con una shelf life superiore alla media e nel pieno rispetto delle caratteristiche native del chicco”.

Il Salto nel vuoto di Vitiello

Ma torniamo alla cena: per me la gita a Parma è stata soprattutto l’occasione per assaggiare nuovamente le pizze di Ciccio Vitiello, che non sono ancora riuscita ad andare a trovare a San Leucio, Caserta, nel suo nuovo Cambia-Menti.

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Ciccio ha presentato appunto il suo “Salto nel vuoto”, ovvero il percorso che propone nel suo locale: non un “giro pizza” da condividere, ma assaggi singoli – spicchi, tranci o altro – serviti a ogni commensale, giocando su impasti e cotture, su consistenze e abbinamenti, e naturalmente su materie prime (a cominciare dalla farina) e ingredienti. Lui lo introduce così: “Ogni giorno della mia vita è un ‘salto nel vuoto’, perché non so che cosa mi succederà. Agli ospiti che scelgono il mio percorso non presento una carta: le pizze che arrivano al tavolo devono sorprendere ed emozionare. Sono il frutto della mia esperienza e della mia immaginazione. È bello vedere che cosa accade nei primi istanti in cui la mordono e leggere negli occhi dei clienti la sorpresa e le emozioni che suscitano i diversi abbinamenti”. E infatti per l’occasione la sala era stata allestita con delle foto di ritratti di varie persone (incluso lo stesso pizzaiolo) che esprimono le possibili sensazioni ed emozioni date dal primo assaggio, senza pensarci troppo: piacere, goduria, sorpresa ma anche perplessità o disgusto. Tanto che non ha voluto svelare tutti i dettagli fino al momento di servire le pizze, o a conclusione della cena.

Gli assaggi della serata

Siamo partiti con un finger food (da mangiare rigorosamente con le mani, come tutto il resto del menu e come avviene in pizzeria: niente posate!) molto buono e divertente, battezzato “il finto cannolicchio che fa l’amore con l’alice”: un croccantissimo “cannolo” di impasto – nato dall’idea del recupero del cornicione, tostato in forno – farcito con burro e alici di Cetara, da accompagnare con un cocktail ideato dal locale che però non ho potuto assaggiare.

Proseguiamo con un trancio di Americana, che è in realtà una pizza farcita di parmigiana di melanzane (omaggio a Parma, ma campanissimo) cotta in tegamino che nasce da un’esperienza giovanile di Ciccio, a Miami. Qui, lavorando in un ristorante italiano, ebbe l’idea di farcire una focaccia con della parmigiana dentro e del formaggio sopra, ripassando il tutto in forno fino a creare una crosta croccante in superficie. Un grande successo all’epoca e direi anche attuale, per un assaggio – con “crosta” di Parmigiano Reggiano 24 mesi e pesto di basilico) che conquista tutto il tavolo e regala grande appagamento.

Proseguamo con una pizza con il salmone, ingrediente presente nei menu primaverile ed estivo di Cambia-menti. Ciccio racconta come, avendo viaggiato molto nel Nord Europa nel suo periodo sabbatico, è stato folgorato a Bergen dal gusto e dalla consistenza del salmone “buono”, non troppo grasso e gradevolmente “calloso”. Per l’occasione ha invece a disposizione il salmone di Claudio Cerati, proveniente dalle acque fredde dei Mari del Nord e lavorato secondo una ricetta esclusiva, che prevede la marinatura a fasi alterne con sale e zucchero e una leggera affumicatura con legno di faggio raccolto sull’Appennino parmense. Elegante e delicato, dalle carni sode e poco grasse, saporito ma per nulla sapido, il salmone Upstream finisce dentro la Millefoglie di salmone di Vitiello, una sorta di croccante taco/Pac-Man (per via dell’impasto giallo alla curcuma, molto presente) farcito anche con stracciata di bufala, misticanza e finocchio, il tutto condito da olio extravergine di Tonda del Matese in omaggio al territorio in cui lavora.

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Il terzo spicchio è di una pizza rossa, volutamente classica, che Ciccio intende quasi come se fosse un sorbetto, ideale per resettare il palato in vista di nuove consistenze e accostamenti più azzardati. La Marinara ai tre pomodori (pelato, San Marzano schiacciato a mano e datterino al forno confit) profumata dall’olio all’aglio e dall’origano raccolto da un amico sul Matese – perché, dice giustamente, non è detto che i prodotti migliori siano quelli col marchio più blasonato – è davvero ottima, tanto nell’impasto che nel condimento, anche se presenta una strana cremosità che attribuisco alla dose generosa di pomodoro. Inoltre, Ciccio racconta che – per la serata come anche nel locale – tutte le pizze, anche questa in stile napoletano, sono cotte nel forno elettrico. In tutto questo, lo Champagne viene versato con grande generosità per la nostra gioia: amiamo l’abbinamento pizza e bolle!

Il quarto assaggio viene introdotto da Ciccio in maniera un po’ criptica, partendo da un quadro che ha portato con sé e che raffigura dei fiori dai colori vivaci su fondo nero, con un cuore giallo ocra. Non sono sicura di aver colto appieno il significato, ha qualcosa che ha a che fare con il buio e la luce. Fatto sta che il trancio di pizza in teglia che ci propone è molto buono nell’impasto (a base di farina MIA) anche se forse non del tutto armonico nel condimento: uno spaghetto di calamaro quadrato condito con olio all’arancia e polvere di olive nere, della mozzarella di bufala, aglio nero fermentato di Voghera (che dà una nota dolce e umami insieme al morso, piuttosto marcata ma non disturbante a mio parere: in qualcuno potrebbe in effetti suscitare perplessità o addirittura disgusto), polvere di piselli, pomodorini dry.

Arriva poi un assaggio su cui avevo molta curiosità avendone sentito parlare da un po’: il suo Padellino al burro, in questo caso aromatizzato al rosmarino cedendone il profumo all’impasto, condito con fiordilatte, crema di friarielli e salsa teryiaki, salmone stagionato Upstream (in pizzeria di solito viene servita con sashimi di tonno o salsiccia di nero casertano a seconda che si tratti delle versione di terra o di pesce), mandorle tostate e pane croccante alle erbe. Una bella triangolazione tra Campania, Parma e Giappone per una proposta che mi è piaciuta molto. L’impasto al burro – che ormai, riguardo al padellino, si trova anche altrove: penso al Fluffy al burro di Jacopo Mercuro o al pan brioche di Pier Daniele Seu – risulta soffice e leggerissimo, molto meno unto di quel pensassi e ideale anche in versioni salate come questa. L’idea di usare il burro per dare diverse aromatizzazioni è indovinata, e Ciccio è riuscito a trovare anche la soluzione tecnica per fronteggiare l’importante presenza del grasso (35%) facendo riposare l’impasto cotto al padellino a testa in giù, come i panettoni, per evitare che il peso del burro lo schiacci.

Chiudiamo con un dessert molto buono e divertente che però Ciccio – a ognuno il suo mestiere, dice giustamente – ha affidato come nel locale alla Pasticceria Contemporanea di Marco Merola, a Caserta. Arriva così in tavola una “pizzetta”, una Margherita Caramellizzata che in realtà è fatta da una base madeleine al limone, creme bulée allo yuzu, confettura di piennolo e fragole, ganache di cioccolato bianco al latte di bufala, olio al limone e basilico, con la meringa italiana caramellizzata al momento con il cannello a ricreare il cornicione un po’ bruciato: fresca ed elegante, è davvero una piacevole chiusura.

Impressioni di pizza

Arriva così il momento in cui Ciccio raccoglie le notre impressioni ed emozioni, con tanto di foto ricordo Polaroid con il pizzaiolo e il ritratto che ci rappresenta, non prima di averci svelato anche che tutte le pizze assaggiate durante la serata erano abbattute e rigenerate: solo così, dice, riesce a ottenere particolari consistenze, oltre a poter gestire facilmente il lavoro in trasferta. Nel caso di tranci e padellini, ha rigenerato l’impasto da condire al momento, mentre per la Marinara ha congelato la pizza già condita riscaldandola per il servizio: ecco cos’era quella cremosità (comunque, piacevole)!

Prima che qualcuno lo possa accusare di eresia, Vitiello specifica: “Io non dico di fare Pizza Napoletana, visto che uso tecniche diverse. Piuttosto, mi piacerebbe rappresentare il futuro della pizza in un’ottica nuova”.

Pensiero assolutamente condivisibile anche se, a dir la verità, a me è sembrato tutto un po’ troppo caricato: voglio dire, le pizze erano davvero molto buone, qualcuna più di altre ma davvero di gran livello. E la serata, molto piacevole, richiedeva giustamente un po’ di storytelling. Non sono però sicura che tutti i discorsi fatti intorno ai piatti – e parlo di Ciccio, che da sempre ritengo uno dei giovani pizzaioli con più “testa” che ci siano oltre che manico, ma anche di molte altre occasioni e personaggi -, al di là di interessanti curiosità tecniche e dettagli sui prodotti, rendano sempre l’esperienza più gratificante.
Fare pizze buone, buonissime: non potremmo fermarci a questo?

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