- Autore: luciana squadrilli
- Data: 11 Ottobre 2017
- Categoria: Eventi, Pizzaioli, Pizze
Federico Zolofra, PizzaChef Emergente 2017
Anche quest’anno ho avuto il piacere di far parte della giuria della gara PizzaChef Emergente organizzata da Luigi Cremona e Lorenza Vitali, in cui ogni anno giovani pizzaioli – che siano titolari o “secondi” di pizzaioli gia’ noti – si sfidano a colpi di impasti e condimenti per conquistare il titolo. Al di la’ dell’aspetto competitivo, per noi giurati e’ sempre una bella occasione per scoprire qualche nuovo talento – cosa in cui Cremona ha un fiuto infallibile – e naturalmente per qualche squisito assaggio!
Quest’anno alla finale sono arrivati 6 pizzaoli (2 dal Nord, 2 dal Centro e 2 da Sud) molto in gamba e la scelta e’ stata abbastanza ardua, nonostante alcuni limiti “tecnici” causati dalla trasferta e immagino anche dalla notevole umidita’ che ha fatto registrare la serata. Eravamo infatti alle Officine Farneto che ormai da diversi anni ospitano l’evento di Witaly quest’anno ribattezzato Festival della Gastronomia, che ospita anche la gara per i giovani chef e le premiazioni della guida Touring.
Partiamo dalla fine, ovvero dal nome del vincitore e dalla composizione del podio, per poi passare alla descrizione delle pizze presentate con i miei commenti che sono naturalmente personali. Il risultato finale e’ frutto dei voti di una giuria piuttosto numerosa e competente e il suo parere e’ naturalmente insindacabile 🙂
A vincere il titolo PizzaChefEmergente 2017 e’ stato Federico Zolofra, originario di Fondi, che lavora con PierDaniele Seu al Mercato Centrale di Roma; proprio Seu aveva vinto il titolo lo scorso anno ed e’ ormai uno dei nomi del mondo della pizza romano e non solo. Al secondo posto ex aequo sono arrivati Emiliano Corcione, giovanissimo (24 anni!) pizzaiolo napoletano da tempo al seguito di Gianfranco Iervolino e oggi con lui da Morsi e Rimorsi ad Aversa, e Nicolo Servadei di ‘O Fiore Mio a Faenza: il primo voleva stare in cucina ma e’ stato folgorato dalla pizza, il secondo studiava architettura ma si e’ trovato in pizzeria e alla prima sera ha sfornato 200 pizze superando in modo brillante la… prova del fuoco.
Gli altri concorrenti erano: Alessandro Salaris, 34 anni, di CB0 Pizzeria Ecologica a Roma – locale ai Parioli che punta su un’offerta bio e a Km0 o quasi, con molti ingredienti provenienti dall’azienda agricola dello stesso pizzaiolo -, Andrea Godi, pizzaiolo pugliese che ha da poco inaugurato la nuova sede della sua pizzeria 400gradi a Lecce e Indrit Haraciu, pizzaiolo venticinquenne di origine albanese ma cresciuto in Italia che si e’ fatto le ossa da ‘O Fiore Mio e Berbere’ prima di tornare a lavorare con Beniamino Bilali (suo primo maestro) al progetto Pumma’. Ognuno di loro ha uno stile di pizza e usa tecniche molto diverse, unite dal filo comune della bonta’. Alla finale della gara potevano presentare una pizza a loro scelta purche’ utilizzassero almeno un ingrediente scelto tra quelli degli espositori della manifestazione.
La pizza vincitrice, quella di Zolofra, aveva un impasto idratato al 70% con blend di tre farine e lievito essiccato, maturazione di 24 ore e lievitazione di 8: dal cornicione pronunciato e l’impasto soffice e morbido, era condita con funghi porcini spadellati con aglio e peperoncino, galletti marinati in olio, sale e timo e provola vaccina affumicata a cui a bocca di forno ha aggiunto ciauscolo marchigiano e granella di nocciole a dare croccantezza. Condimento goloso e ben bilanciato per quanto un po’ grasso, che ha conquistato molti dei giurati. A me e’ piaciuto molto mentre ho trovato la pizza non cotta alla perfezione ma va detto che essendo al primo tavolo mi sono arrivate sempre le prime pizze sfornate, per di piu’ un po’ fredde perche’ prima facevano il giro dei giurati.
Nicolo’ Servadei invece ha scelto di andare sul sicuro presentando la pizza best-seller di ‘O Fiore Mio che prende il nome dal locale: impasto alto, soffice e intensamente profumato a base di farina 2 e grano spezzato aggiunto in idrolisi al posto del lievito madre “tradizionale”, era condita con mozzarella del Casolare, burrata pugliese e prosciutto San Daniele (tra gli espositori) al posto del prosciutto di Parma usato solitamente in pizzeria. Ben conoscendo la versione originale di questa pizza, non mi ha convinto del tutto la scelta del San Daniele (per di piu’ affettato un po’ troppo sottile) che non contrastava adeguatamente la dolcezza della burrata. Comunque, sempre buonissima.
Alessandro Salaris ha puntato su ingredienti di stagione – come fa nel suo locale – e su un impasto piuttosto complesso a base di un mix di farine semintegrali di grani antichi (che pero’ non ho capito esattamente qualsi fossero) e semi vari, con 96 ore complessive di maturazione e lievitazione e un’idratazione al 65% (che forse ha penalizzato un po’ l’impasto, gustoso ma un po’ secco anche a causa di un eccesso di semola rimasta attaccata nella spianatura). Anche il condimento, con ingredienti molto invitanti ma fin troppo ricchi, era forse un po’ sbilanciato sulla dolcezza: crema di zucca, fiordilatte laziale, castagne, porcini aggiunti in cottura e alla fine sotto forma di chips fritte insieme a fiori di rosmarino, riccioli di Pecorino di Fossa di Norcia e un filo di extravergine. Forse ha voluto un po’ strafare ma di lui mi ha colpito sicuramente l’attenzione alle materie prime e un approccio molto appassionato al suo lavoro.
Andrea Godi ha proposto la sua pizza di scuola napoletana – “filosofia” da lui scelta decidendo di percorrere una strada diversa da quella del padre che faceva una pizza “leccese” classica, sottile e croccante – fatta pero’ con farina semintegrale con biga di 24 ore e rinfresco di 18 (accorciato rispetto al solito per necessita’ logistiche) che staglia in panetti circa 4 ore prima del servizio. Personalmente ho apprezzato molto il suo impasto, saporito e morbido, e la cottura della pizza. Non ha convinto del tutto, invece, il condimento a base di fiordilatte, carciofi sottaceto spadellati, capperi disidratati croccanti e in parte ridotti in una crema con le mandorle (buonissima!) e scaglie di caciocavallo stagionato, che ha probabilmente risentito dell’obbligo dell’ingrediente “sponsorizzato”, vale a dire i carciofini che davano un’impronta acida e ferrosa non piacevole. Al suo locale, ha spiegato Andrea che punta molto sugli ingredienti locali e “poveri”, ne fa una simile con i carciofi freschi e sono sicura che il risultato sia nettamente migliore.
Indrit Haraciu ha puntato al contrario sulla semplicita’ della sua Marinara 2.0, forse anch’essa eccessiva pur se convincente: impasto alto e soffice, dal diametro ridotto come quella di ‘O Fiore Mio, ha alla base un blend di farine tipo 1 e 00 con lievito madre con 36 ore di lievitazione complessiva e una cottura un po’ piu’ lenta. Non conoscendo forno e condizioni, il pizzaiolo ha portato due impasti con idratazioni differenti (67% e 80%) facendo una prova di forno e propendendo poi per il secondo. Lo ha condito con del pomodoro “liquido” di un espositore a cui, fuori dal forno, ha aggiunto pomodori aperti a meta’ e scolati, aglio sottolio, sale di Cervia, origano di Pantelleria e un filo di ottimo extravergine Selezione Alina di Tennuta Pennita, azienda di Brisighella.
Emiliano Corcione, infine, ha proposto una “napoletana tradizionale” impastata a mano la sera prima a fine servizio e stagliata durante la notte, che a me e’ piaciuta per impasto ma non per il condimento a base di fiordilatte, salsiccia di cinghiale (messa in cottura ma sotto il latticino per evitare che seccasse troppo), carpaccio di tartufo sottolio e germogli di coriandolo. Un mix un po’ azzardato e non perfettamente riuscito anche se va dato merito al pizzaiolo di essersi preso il rischio di inventare una pizza completamente da zero utilizzando tutti ingredienti trovati sul posto ad eccezione del fiordilatte di Agerola.
A tutti loro auguriamo comunque di raggiungere grandi traguardi professionali e di continuare a sfornare ottime pizze!