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Fermenta a Chieti, qui si sforna l’Abruzzo

Il bel locale di Luca Cornacchia e Giorgia Santuccione è una sorta di laboratorio di farine, impasti e condimenti. Dalla tonda a “canotto” alla fritta, dalla croccante al padellino, le loro pizze ci hanno conquistato.

Confesso che, da quando Marzia Buzzanca è andata via dall’Aquila (chissà se adesso che è conclusa la collaborazione nordica ci tornerà?), non ho frequentato molto l’Abruzzo della pizza, anche è un bel po’ che vorrei tornare a trovare Arcangelo Zulli a Guardagrele. Invece sono andata, per il momento, a Chieti Scalo accettando l’invito a provare le pizze di Fermenta – Pizza & Birre Artigianali.

Il locale è nato nell’aprile 2019 per volontà della giovane e determinata coppia formata da Luca Cornacchia e Giorgia Santuccione: lui, classe ’86, ha un passato di successo da calciatore di serie A di calcio a cinque, lei, classe ‘89, è una donna di giurisprudenza con il pallino per il vino che non smette di studiare e approfondire. Stanno insieme dal 2008 e dopo qualche anno hanno maturato la decisione di riprendere le tradizioni familiari (a poca distanza dalla pizzeria c’è il bel bar della famiglia di Giorgia che ha locali e ristoranti da quattro generazioni) e le proprie passioni, per gli impasti e per il vino, rendendole il loro nuovo lavoro. Alla base, alcune idee ben chiare: intanto evitare la formula “focaccia e arrosticini” che va per la maggiore da queste parti (pare sia l’antipasto obbligatorio nelle pizzerie locali, che io d’altra parte non disdegnerei ma poi non mangerei più la pizza!), poi puntare sulla qualità tanto per gli impasti quanto per i condimenti portando in città l’idea di pizza contemporanea – qualcuno la chiama gourmet ma insomma, ci siamo capiti – senza rinunciare, spiegano, all'”abbruzzesità” che qui si sente forte e chiara.

Poi ci si è messa di mezzo la pandemia ma loro, invece di mollare, ne hanno approfittato per studiare e sperimentare e soprattutto per ampliare il locale che oggi conta 160 coperti all’interno e 100 nella veranda esterna (che nelle stagioni invernali viene chiusa e coperta per accogliere gli ospiti anche nei mesi più freddi), un bel bancone con sala fusti per le spine (oltre a Giorgia che si occupa del vino c’è anche un “sommelier della birra” molto preparato e una scelta di sette vie fisse più una a rotazione locale), scaffali con tutti i prodotti usati e una vera e propria cucina che sta dietro al bancone con il forno a legna e quello a rullo che serve per le pizze croccanti. Gli arredi sono molto curati, dalla carta da parati a fiori ai dettagli, tanto che dalle foto mi aveva fatto pensare a un locale “trendy” e un po’ freddo, invece è tutt’altro e si sta molto bene potendo scegliere tra gli ambienti un po’ più riservati e la sala principale più affollata e caotica.

Entrambi piuttosto infaticabili, Luca e Giorgia non si risparmiano su nulla: lei coordina la bella squadra di sala, affiatata e ben preparata, oltre a curare la cantina e i rapporti con molti fornitori, lui sta dietro al team di cucina, crea le pizze e sta dietro agli impasti. Non uno ma almeno quatto – per la pizza classica, contemporanea, il padellino e la “due consistenze” fritta e al forno – più i vari impasti “alternativi” a rotazione in cui aggiunge percentuali di “farine” di ortica, barbabietola o altro ancora, dando la possibilità di scegliere la base per la pizza croccante, partendo da una biga da lievito madre che viene esposta in sala nell’apposito frigo (40% di biga, 60% di farina 0 e 80% di idratazione, maturazione di circa 48 ore). Ciònonostante, sono riusciti a ritagliarsi oltre mezza giornata con noi per accompagnarci a conoscere da vicino alcuni dei loro fornitori e dei prodotti che usano: dal buonissimo Pecorino di Farindola – singolare pecorino con caglio di suino in diverse stagionature realizzato da 12 aziende locali i cui prodotti, insieme ad altre eccellenze del territorio come legumi, pomodori, pasta, marmellate ed erbe aromatiche, sono in vendita alla Casera consortile nel centro del paese – a vini (e l’olio extravergine) di Di Sipio, bellissima cantina di Ripa Teatina che coltiva uve autoctone ma pure pinot nero e riesling.

Ma ora la faccio breve e vi racconto cosa abbiamo mangiato (e quello che la collega in viaggio con me ha bevuto, mentre io ormai passo per astemia visto che l’alcol mi dà qualche problema).

Iniziamo con due fritti dalla “antipasteria” di Fermenta, che include anche il tagliere di salumi e formaggi (quelli del compianto Gregorio Rotolo di Valle Scannese a Scanno, ma la produzione continua grazie alle nuove generazioni) e poi montanarine, arancini, frittatine e “fellate” (chips di patate). Noi invece assaggiamo la buonissima Oliva all’Abruzzese – rivisitazione dell’Ascolana con prodotti abruzzesi, inclusa la ventricina – e la polpetta di pulled pork con maiale nero abruzzese con panatura di cornflakes e salsa al pecorino. Ad accompagnarli il Lupa Bianca, Riesling renano d’alta quota (abruzzese) di Castelsimoni.

Poi si comincia con le pizze, partiamo con l’impasto contemporaneo nella versione preferita da Luca: si chiama infatti Quel matto di Luca – dal commento di Giorgia, e pure di molti altri, all’idea – che è una sua interpretazione personale e decisamente abruzzese del grande classico: il pomodoro Pera d’Abruzzo (varietà grossa e molto più dolce rispetto al San Marzano, buonissimo e dal succo perfetto anche da bere, a chi piace) viene schiacciato a mano e macerato con menta, timo, cipolla e misticanza replicando la classica ciavarella, ricordo d’infanzia degli spuntini che si facevano una volta quando si preparavano le conserve. A completare ci sono crema di fiordilatte e crema di basilico, oltre all’olio extravergine cilentano Dop di Barone, e a dare un ultimo tocco di sapidità viene grattugiato sul cornicione del Pecorino di Farindola che dà anche croccantezza aggiuntiva. Ho trovato l’impasto leggerissimo e saporito, quasi fondente, e confesso che se dovessi tornare da Fermenta – lo farò – mi concentrerei sulle altre pizze di questa sezione fino a provarle tutte (in carta dai 7 ai 15 euro)! Qui si beve il Cerasuolo d’Abruzzo di Di Sipio, in versione barricata.

Proseguiamo con un altri assaggio strepitoso: la pizza in doppia consistenza – fritta e poi al forno – Elisir del Pastore, dall’impasto arioso e per nulla unto, buonissimo da mangiare anche da solo e ricorda quasi una zeppola, condito con la pecora alla callara, lunga e poderosa preparazione abruzzese “in umido” che rende la carne scioglievole e saporita, con il tocco del rosmarino e una punta di crema di pecorino a completare. Deliziosa, in carta a 14 euro: avrei fatto volentieri il bis dello spicchio ma consiglierei di dividerla con qualcuno, altrimenti è dura assaggiare altro! Ma si può comunque scegliere un percorso di degustazione, con 3 pizze tonde a spicchi, 1 pizza fritta, 1 padellino, 1 fritto e un drink pairing studiato nel dettaglio per ogni portata (birra o vino).

Poi arriva, per par condicio, la pizza preferita di Giorgia: la Santo Abruzzo, impasto più alto e croccante (in questo caso multicereali con ortica) cotta prima al forno e poi al rullo, condita con ventricina vastese (presidio Slow Food della Fattoria del Tratturo di Scerni), yogurt ed erborinato di pecora di Gregorio Rotolo, a cui Luca aggiunge estemporaneamente anche il Marcetto sempre di Valle Scannese che ricorda il sapore super intenso dell’antico formaggio attaccato dalle larve che oggi non si può più produrre. Buonissima e dalla consistenza perfetta, è però davvero molto saporita e in questo caso mi sarei fermata a uno spicchio a prescindere (in carta a 12 euro). C’è bisogno anche di un accompagnamento più strutturato, come il Montepulciano Riserva 2016 di Torre Zambra.

In teoria il percorso immaginato da Luca e Giorgia si sarebbe anche concluso ma non vogliamo rinunciare ad assaggiare un’altra tipologia, la pizza al padellino frutto di una tripla lievitazione cotta prima al forno e poi al rullo: arriva la Scomposta, con San Marzano Dop, stracciata pugliese, confettura di pomodoro cannellino flegreo, basilico cristallizzato e olio extravergine di Leccino Fontebruna Villa Baffo, a Civitella Casanova (in carta a 11 euro). Impasto impeccabile e condimento equilibrato che porta con grazia verso il dessert, anche se confesso che in generale la pizza al padellino raramente mi fa impazzire – anche perchè, così alta, risulta scomoda da mangiare – e trovo che sia quella in cui meno riesce a esprimersi la bravura del pizzaiolo, nel senso che il risultato mi sembra spesso simile anche quando è ai massimi livelli: impressione confermata anche dalla chiacchierata di fine serata con Luca che è il primo a nutrire qualche dubbio.

A questo punto, considerando che non amo i dolci, mi sarei fermata ma mi hanno consigliato di assaggiare anche il dessert e ammetto che ne valeva la pena: le Sise delle monache di Guardiagrele (da un laboratorio del paese, mentre gli altri dolci sono realizzati “dalla sorella di Luca “in casa”) servite in un bellissimo piattino con campana in vetro, accompagnate da una crema zafferano e arancia con crumble al cacao.

Informazione di servizio: visto che Fermenta è aperto (tutti i giorni) solo a cena, per pernottare nelle vicinanze c’è il grazioso Cantina Loft, bella struttura dove si fanno vino e olio: si pernotta in camere, suite e loft che sono delle specie di appartamentini, tra siepi e vigne, con un bel panorama e la piscina per l’estate.

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