
- Autore: Salvatore Cosenza
- Data: 28 Gennaio 2021
- Categoria: I luoghi della pizza, Pizze, Pizzerie
La pizza nel ruoto potentina
Come si mangia la pizza a Potenza, secondo tradizione? Salvatore Cosenza ha svolto una vera e propria indagine alla scoperta della pizza nel ruoto potentina e dei suoi interpreti.
Doveva essere un semplice articolo sulla pizza tipica di Potenza, cotta nel ruoto. Mi sono ritrovato a riavvolgere i fili di una storia probabilmente mai narrata, interpellando chi quotidianamente ha a che fare con lievito e farina. Quanto segue è ciò che ho scoperto sulle origini, la storia e forse il futuro di questa specialità, il cui sapore è sedimentato nella memoria collettiva della città.
Premessa
Nato nel capoluogo lucano, se sono diventato grande (e grosso), lo devo anche agli spicchi di quella pizza che mangiavo quasi quotidianamente a merenda: da duemila lire quando ero davvero affamato, da mille se il resto degli spiccioli erano finiti nel biliardino o li avevo spesi per una gassosa. Un tempo c’era la Pizzeria Francioso, il cui titolare Michele usava un armamentario del tutto insolito: prendeva i ruoti roventi dal forno aiutandosi con delle tenaglie e tagliava la pizza con dei raschietti da imbianchino. La mia preferita era rossa con formaggio grattugiato e salame, in pratica quella che gli americani chiamano Pepperoni, nella cui ricetta c’è evidentemente lo zampino dei lucani emigrati oltre Oceano. Alta, morbida e croccante al tempo stesso, unta al punto giusto: negli anni ‘80, la pizza al taglio e da asporto a Potenza era questa. Quelle alla pala, in teglia alla romana e al metro sono arrivate dopo.
Le origini della pizza nel ruoto potentina
In realtà, in principio c’era il “ruccolo”: una sorta di focaccia, realizzata dai panifici con lo stesso impasto del pane e condita con ingredienti estremamente semplici. Le teglie venivano messe nel forno a legna, quando questo raggiungeva le temperature più elevate. Inutile dire che ogni forma di maniacalità nei confronti degli aspetti più tecnici del processo produttivo era assente: il lievito era naturale ma non per moda, le farine erano di grani locali per forza di cose.

Le prime pizzerie al taglio in città
Dal secondo dopoguerra in poi, Potenza vede raddoppiare la propria popolazione, grazie all’afflusso di nuovi abitanti provenienti soprattutto dal resto della regione. Cambiano anche le abitudini di consumo e alla fine degli anni ‘60 nascono le prime attività che vendono esclusivamente pizza al taglio, rompendo di fatto il duopolio dei panifici e delle massaie. La tradizione del ruccolo viene rivisitata: l’impasto non è più quello del pane ma è realizzato ad hoc, con lievito di birra e percentuali di farine di grano tenero che vanno ad aggiungersi alla semola. La cottura avviene sempre nella teglia tonda di circa 35 cm, ma in forni elettrici decisamente più gestibili, rispetto alimentati a legna, in una realtà ormai del tutto urbanizzata. Tra le attività più longeve impossibile non citare la Pizzeria Montesano (Via Giuseppe Verdi, 12), vera e propria istituzione potentina, che ancora oggi vanta discrete file di avventori ogni sera.
La vecchia scuola
Altro esponente della vecchia guardia è Salvatore Laurenzana, titolare della Pizzeria Castell (Via Lodovico Ariosto, 23) che ci aiuta a fare chiarezza: “Le pizzerie storiche potentine come la mia, usano un mix di 00 e semola. Proprio la percentuale prevalente di farina più raffinata rappresenta la differenza principale tra il nostro prodotto e il ruccolo, che puoi trovare tuttora nei panifici.” Parlando della storia del suo locale ci racconta: “Ho rilevato il Castell nel 1986 e ogni anno do un’imbiancata, ma per il resto voglio che l’atmosfera resti immutata.” Un tentativo di cristallizzare il tempo che si riflette anche nel suo impasto: “Faccio la pizza come agli inizi. Cerco di mettere una quantità moderata di lievito, ma non credo che lunghe maturazioni siano compatibili con il ruoto. Dopotutto la leggerezza dipende anche dagli altri ingredienti; io ad esempio utilizzo solo ed esclusivamente olio extra vergine, mentre qualcuno non disdegna lo strutto: in tal caso nulla da dire sul sapore, ma è una scelta che incide sulla digeribilità”.
Non distante da Castell, restando nei paraggi dello Stadio Viviani, da qualche anno ha aperto Casarsa – Pizzeria Lucana (Via Alfredo Viviani, 1). Giovanni Spera è giovane ma la pizza per lui è un affare di famiglia: “Il mio impasto deriva da quello che faceva mio padre nella vecchia sede di Piazza Crispi, che a sua volta era ispirato a quello di Montesano. Attualmente lo abbiamo modificato un po’: usiamo meno olio quando lo stendiamo e il mix di farine varia a seconda della stagione. Sicuramente non otteniamo quella bella crosta che sembra quasi fritta, ma ne guadagniamo in leggerezza.”
Con Giovanni scambio informazioni di carattere storico, tracciamo le differenze con la focaccia pugliese ma inevitabilmente il nostro dialogo prende una deriva tecnica: “La lievitazione della pizza al taglio potentina avviene direttamente nel ruoto e questo di fatto rende impossibili le lunghe maturazioni. Quelle le lasciamo alla teglia romana, che pure facciamo con grande soddisfazione”.
L’evoluzione della tradizione
Completamente diverso l’approccio adottato da Peppone Calabrese, oste, gastronomo e volto televisivo (un tempo a La prova del cuoco, più di recente a Linea Verde). Dalla fine del 2019, nel suo Cibò (Piazza della Costituzione Italiana, 44), propone una versione 2.0 del ruccolo. Un ritorno alle origini, con uno sguardo al futuro: l’obiettivo era quello di riscoprire l’antenato della pizza in teglia tonda, migliorandolo attraverso maturazioni lunghe (fino a 96 ore) e farine di grani locali.

“Se mia nonna vedesse come faccio la pizza nel ruoto, probabilmente mi manderebbe a quel paese. Questa attenzione che ripongo nei confronti della maturazione un tempo non esisteva, il ruccolo sostanzialmente si faceva per risolvere un problema: serviva a stemperare il forno a legna prima di cuocere il pane. Mica potevi aspettare! E i condimenti erano: pomodoro e origano oppure pomodoro e formaggio.”
Il sodalizio con lo storico Forno delle Sorelle Palese ha permesso a Peppone di effettuare prove di impasto per mesi, prima di arrivare a un risultato per lui soddisfacente e che propone attualmente ai suoi ospiti.
Anche Salvatore Gatta nella sua pluripremiata pizzeria Fandango (Via dei Molinari, 37), si è lasciato affascinare dal ruccolo, inserendo in menu due versioni di pizza potentina, che vanno ad aggiungersi alle “veraci napoletane” che lo hanno reso famoso.
“Partiamo da semola e cui aggiungiamo farina di farro lucano, caratterizzata da un apporto proteico molto ridotto. Con il lievito madre facciamo un impasto simile a quello del pane, e sfruttiamo i picchi di temperatura del forno. Ovviamente abbiamo riadattato questa specialità tradizionale ai giorni nostri e agli ingredienti che abbiamo a disposizione oggi. “
Per quanto riguarda i condimenti: “C’è quella con la mortadella di nero lucano, pistacchio di Stigliano e mozzarella locale. L’altra invece è estremamente classica, ai tre pomodori (San Marzano come base e Ciettaicale di Tolve in due consistenze), aggiungiamo solo origano e formaggio, come si faceva un tempo.”
Conclusioni
Seguendo il più classico degli schemi narrativi, la storia della pizza potentina ha un’evoluzione circolare e non mancano i momenti di difficoltà e infine di rinascita. Da prodotto secondario della panificazione, assume dignità propria con l’apertura delle pizzerie figlie del boom economico e demografico. Entra in crisi per la concorrenza di altre tipologie di pizza al taglio ma resiste e infine risorge in nuove forme contemporanee. La speranza è che a Potenza possano nascere altre attività, capaci di valorizzare un prodotto che, a pieno titolo, fa parte della tradizione gastronomica della città.