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Levyta

Levyta, pizza e (trebbie di) birra

Levyta è il nome del nuovo spazio dedicato alla pizza all’interno del locale romano Queen Makeda Grand Pub. Resta il filo conduttore della birra: nel bicchiere ma anche nell’impasto!

Aperto ormai da cinque anni, il Queen Makeda Grand Pub è un locale romano dedicato principalmente alla birra artigianale – con alcuni dei tavoli dotati di spalatori da cui servirsi direttamente – e a una cucina d’impronta decisamente internazionale, con un menu composto da diverse specialità di culture gastronomiche del mondo e mix dal sapore fusion: hamburger, panini con polpo e kimchi coreano, Smørrebrød, fritti come i Pakora di verdure o lo Yucca stick, Pad Thai, wok di tonnarelli con manzo o con verdure e così via, con tanto di kaiten – il nastro giapponese – da cui prelevare a piacere gli assaggi proposti per l’aperitivo. Stranamente però mancava proprio il cibo che più comunemente si abbina alla birra: la pizza!

“All’inizio non l’abbiamo inserita nel menu perché in un locale che si proponeva di fare cucina internazionale sarebbe potuto sembrare fuori luogo”, spiega Pasquale De Lucia che ha creato il Queen Makeda insieme ai suoi soci e con il supporto della Laurenzi Consulting di Dario Laurenzi, ispirandosi al leggendario viaggio della Regina di Saba che girò tutto il mondo alla ricerca di beni preziosi, spezie e aromi da portare in dono a Re Salomone. Poi ci hanno ripensato e hanno deciso di inserire la pizza per ampliare il pubblico del locale; ma – per non snaturare il concept – le hanno dedicato uno spazio e un format apposito: Levyta.

Manco a farlo apposta, era proprio questo il nome – dato da chi ha decorato le pareti e i soffitti del locale con una grande e immaginifica mappa – a una delle tante isolette in cui avrebbe fatto tappa la regina. E’ nato così, a ottobre scorso Levyta Brew Pizza, lo spazio dedicato esclusivamente alla pizza – con qualche proposta di fritto in esclusiva e qualche altra in comune con il menu del pub, come pure gli hamburger – caratterizzato dal rosso delle pareti e dei divanetti.

Levyta, la birra nella pizza

Non si tratta, però, di una pizza comune. Per restare fedeli all’animo brassicolo del locale, e per proporre qualcosa di nuovo, il team guidato dallo chef Gabriele Raimondi si è infatti messo a sperimentare soprattutto sugli impasti, lavorando proprio sulla birra e sul suo processo produttivo. E’ nata così l’idea (non del tutto originale, ma a quanto sappia ancora non proposta da nessuno in pianta stabile a Roma) di utilizzare le trebbie – il residuo dell’estrazione a caldo dell’orzo germinato, vale a dire gli involucri esterni della granella e di altre sostanze nutritive che restano dopo il processo di bollitura, conservando un contenuto di amido e proteine del cereale – nell’impasto, utilizzando quelle rimanenti dalla lavorazione di un vicino birrificio fornitore del locale e recuperando così in maniera intelligente un materiale di scarto che sarebbe stato altrimenti buttato.

Dopo parecchie prove con diverse tipologie di birra, la scelta è ricaduta sulle trebbie derivanti dalla produzione di Tripel, tradizionale stile belga che definisce birre piuttosto alcoliche, dolci e rotonde, dal profilo dunque più maltato che luppolato e dunque più adatto ad armonizzarsi con le altre farine. Le trebbie, abbattute e messe sottovuoto per fermarne la fermentazione, vengono mescolate con la farina in una proporzione di 1/3 trebbie e 2/3 farina cui viene aggiunta anche della birra (a integrare l’acqua, anche se sono ancora in corso delle prove per utilizzare i lieviti esausti della brassatura) per dare un ulteriore carattere all’impasto che viene fatto maturare e lievitare per 48 ore e poi cotto in un forno bilanciato senza condimento sopra.

Così infatti si ottiene un disco dal diametro di circa 20 cm e dal colore brunito, al cui interno sono visibili le trebbie, piuttosto leggero e croccante ma con una sua morbidezza, che tende però a spugnarsi un po’ con dei condimenti troppo umidi; motivo per il quale, nonostante il buon sapore degli ingredienti, ho preferito in generale le pizze senza pomodoro in cui impasto e topping si esaltano meglio a vicenda. Il sapore resta infatti più “rustico” di un impasto normale anche se a mio parere un po’ sciapo (in alcuni casi ben bilanciato dal condimento e in altri meno). Le pizze – suddivise tra Semplici, Ricche e Signature, alcune fisse, altre stagionali e scritte anche alla lavagna – vanno dagli 8 ai 12 euro e sono ideali da condividere assaggiando più tipologie; non a caso sono servite tagliate in quattro spicchi. Nel menu sono indicati anche gli abbinamenti consigliati con le birre.

Levyta, i nostri assaggi

Invitate con altri colleghi a provare la pizza, siamo partiti con dei generosi assaggi di fritti: il fiore di zucca con fiordilatte e alici, servito con una salsa di yogurt e menta, mi è piaciuto molto nonostante fosse un po’ unto; buoni anche felafel e crocchette di patate (insolitamente aromatizzate con kaffir lime, zenzero e cipolla e servite con una salsa agrodolce) mentre mi hanno convinto meno (per la consistenza, mentre il sapore era buono) i supplì con salsa alla ‘nduja.

Poi le pizze, che riporto in ordine di personale preferenza:

Patate alla ‘nduja (con caciocavallo e salsa al prezzemolo), a mio avviso il miglior abbinamento con l’impasto alle trebbie, saporita il giusto e piacevolmente variopinta.

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Broccoletto e salsiccia (con fiordilatte), che ha il suo punto di forza nei buonissimi broccoletti – tipo friarielli – che arrivano dall’orto campano di un amico dello chef e dalle “salsicce” fatte in casa (o meglio in cucina) con aggiunta di paprika; anche questa si sposava bene con l’impasto.

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Mortadella e burrata con granella di pistacchio, un po’ troppo grassa ma nel complesso un classico che non delude mai.

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Polpo grigliato (con pomodorini alla griglia, kimchi e maionese di polpo); una pizza decisamente “estrema” – per quando ammorbidita nelle dosi di kimchi e conseguente agliosità e piccantezza, rispetto all’assaggio proposto in precedenza ad alcuni colleghi e amici – e ispirata a un piatto (Burger) proposto con grande successo al pub, che a me non è dispiaciuta. Molto buoni, in particolare, i pomodori alla griglia penalizzati però secondo me dall’abbinamento con un impasto “difficile”.

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Bufala e datterino (con mozzarella di bufala, datterini alla brace e salsa al basilico), è la versione “Levyta” della Margherita, proposta così per ovviare al fatto che l’impasto non regge il pomodoro in cottura. Gradevole ma non regge il confronto con il grande classico e si fa preferire le proposte più originali.

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Zucca e funghi (con ricotta vaccina, fior di latte, zucca mantovana al forno, funghi shiitake, orecchie di Giuda, olio alle erbe), pizza stagionale. Sulla carta avrebbe potuto essere una delle mie preferite ma non mi ha convinto per l’eccessiva dolcezza – della zucca, non contrastata dalla ricotta che in effetti, ci ha spiegato lo chef, in origine era di capra ma non veniva apprezzata da tutti – e per la consistenza dei funghi che non sono delle mie varietà preferite.

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Nel complesso, un’idea interessante che probabilmente va ancora messa un po’ a punto ma che rappresenta senz’altro un’alternativa niente male alla “solita” pizza.

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