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Pipero da Pepe

Pipero da Pepe, per Authentica Ten

Ciro Scamardella e Alessandro Pipero in trasferta a Caiazzo per una serata all’insegna dell’amicizia e della sperimentazione. Abbiamo partecipato a una delle date per celebrare i 10 anni di Pepe in Grani.

Sono partiti a novembre i “festeggiamenti” dei primi dieci anni di Pepe in Grani, il locale aperto nel 2012 a Caiazzo da Franco Pepe e divenuto nel frattempo una meta gastronomica di rilevanza mondiale. Franco ha deciso di celebrare la ricorrenza non con una serata, ma con dieci e più chiamando ad affiancarlo al banco di Authentica chef e pizzaioli, ma soprattutto amici. Ho avuto il piacere di partecipare al quarto appuntamento – la cadenza è più o meno mensile ma varia in base agli impegni di tutti – che ha visto co-protagonisti Ciro Scamardella e Alessandro Pipero, vale a dire Pipero Roma (che qualche anno fa aveva anche ospitato una bella serata “fritta” con Pepe).

Prima di raccontarvi le pizze e gli assaggi (tantissimi, ma come si fa a dire di no…) vi spiego allora brevemente il format e come funziona. Posto che Authentica (la sala con forno dedicato e tavolo a emiciclo per una decina di persone a cui sedersi non solo per mangiare ma per vedere e ascoltare Franco al lavoro e confrontarsi con lui) tornerà a funzionare anche in autonomia su prenotazione per gruppi di minimo 8 persone, in questi mesi è dedicata appunto alle serate in cui Pepe ospita amici: non esibizioni di bravura, non celebrazioni ma “jam session” all’insegna dell’amicizia e dell’informalità (da un lato e l’altro del tavolo, dove ci si scambiano impressioni e racconti), spesso improvvisate o quasi, da cui però possono nascere spunti interessanti che magari saranno ripresi, affinati e trasformati in qualche nuova pizza futura. Questo per dire che non deve stupire se alla fine le pizze più apprezzate risultano spesso quelle del menu di Pepe in Grani, messe a punto con la dovuta attenzione e collaudate; ma è davvero raro assaggiare uno spicchio deludente, anche tra quelli estemporanei. Infine, qualche informazione pratica: i posti sono limitatissimi e le prenotazioni (massimo per due persone, il prezzo viene comunicato al momento della prenotazione) vengono aperte solo qualche giorno prima della data per essere certi che sia garantita. Dunque se siete interessati a partecipare, tenete d’occhio i social di Pepe in Grani e siate pronti a riempire il form online.

Pipero da Pepe, gli assaggi

Troviamo sul tavolo la cartolina della serata, ma sul retro invece del menu c’è una pagina bianca: sta a noi riempirla di appunti, sensazioni, descrizioni. Poi inizia la raffica di assaggi, accompagnata da un bicchiere di Spritz alla fragola Bocktailed creato appositamente per l’abbinamento con le pizze fritte di Pepe. E infatti partiamo così, con il celebre “cono fritto” di Franco che per l’occasione si presta ad accogliere (con un cucchiaio di fonduta di Grana Padano sul fondo che ci sta molto bene) un “ripieno” romano portato da Scamardella, che è napoletano di Bacoli ma trapiantato nella Capitale: la buonissima coda alla vaccinara che lo chef accosta, per “rinfrescare”, anzichè al sedano alle puntarelle croccanti condite con olio, aglio, alici e buccia di limone. Goduriosissima.

Proseguiamo con il fritto – Pepe in Grani ha un menu degustazione dedicato ma con una frittura così perfetta lo si affronta senza problemi, e in generale le pizze fritte rappresentano il 45% degli ordini al tavolo – e con la versione appunto fritta della Memento, grande pizza di territorio di Franco con crema di cipolle di Alife, ceci delle colline caiatine e cicoria selvatica.

La terza pizza – questa volta al forno – ci porta a Bacoli, con un detour a Caiazzo visto che Ciro la chiama, in omaggio a Franco, l’ImPepeta: in realtà lo chef mette sull’impasto un piatto signature del ristorante romano, la sua “impepata” di cozze, limone e pepe che rilegge il classico piatto marinaro in chiave moderna ed elegante. Sulla pizza spalma una crema di cozze frullate, poi aggiunge i mitili carnosi e una sorta di “cagliata” di limone (fatta lavorando l’albedo con un estratto stesso di limone) a dare freschezza e completa con la spuma di pepe. Accompagnamo con la Ribolla de I Clivi che ci sta benissimo.

Sul banco compare una mega treccia di bufala del Casolare che porta ancora più gioia. Franco – aiutato dal giovane Valentin – la usa per finire a crudo un’altra pizza del menu, che avevo già provato pochi mesi fa restandone conquistata: la Vulcanica. Realizzata in “tre tempi”, il disco viene condito con un paté di olive caiazzane giustamente intenso e poi infornato; a metà cottura Franco aggiunge la passata di pomodoro riccio, talmente gustosa che sarebbe rovinata da una cottura prolungata. Infine, una volta sfornata mette ma bufala stracciata a mano e qualche foglia di origano fresco: un mix potentissimo, elegante e persistente in cui ogni ingrediente valorizza l’altro, a cominciare dalle olive che “potenziano” il pomodoro. Qui arriva il Regina Sofia, un interessante rosato frizzante rifermentato di Mustilli.

Tocca di nuovo a Ciro che “palleggia” con Franco per proporre l‘esperimento forse più interessante della serata: usa l’impasto di Pepe come metodo di cottura, traformando il calzone in una sorta di “camera di vapore” (niente paura, niente è andato sprecato: ci siamo mangiati pure quello!) mettendoci dentro il radicchio trevigiano crudo che così si ammorbidisce senza perdere totalmente croccantezza. Lo mette sulla pizza – precedentemente condita con una fonduta di Blu di Bufala e infornata – insieme a del radicchio cotto in osmosi nel vino e completa il tutto con salsa al vino rosso, mirtilli disidratati e reidratati in aceto di mirtillo e una “dadolata” di animelle spadellate. Da calibrare bene ma buonissima!

Arriva poi un grande “classico” – la Salsiccia e Friarielli in omaggio a Luigi Cremona, tra gli ospiti della serata e amante di questa pizza – che è stato però reinterpretato (alla grande direi) da Stefano Pepe, il figlio di Franco: da pizza “povera” e un po’ rozza a capolavoro di equilibrio, con una base di fiordilatte, friarielli ripassati, olio e peperocino in cottura, finita fuori da forno con stracciata di bufala e salsiccia di Nero Casertano stagionata e mandorle tritate. L’accompagnamento perfetto – in stile Miseria e Nobiltà – è con lo Champagne, un Blanc de Noirs di Hugues Godmé.

Torniamo a Roma, e Ciro mette sull’impasto di Franco un piatto che è la sua “croce e delizia”, un must di Pipero che ha sdoganato questa ricetta “popolare” nel fine dining: la Carbonara. Così, a completare il disco infornato con fonduta di pecorino e fiordilatte ci va il “Carbomix” – preparato a base di uova e formaggio – arricchito da enormi tocchi di guanciale croccante, dal suo grasso “sudato” in padella e da altra fonduta e pecorino grattugiato. Buonissima ma un po’ hard a questo punto della serata e, vista la modalità di consumo della pizza diversa da quella della pasta, ci troviamo tutti concordi sul fatto che il guanciale avrebbe dovuto essere tagliato più piccolo per godersi ogni boccone.

Arriviamo al dolce, e al momento dei ricordi di famiglia. Prima ci fermiamo a Napoli con Ciro che utilizza come base l’impasto della pizza al forno freddo (su sua richiesta) che fa da base ai profumi della pastiera: ricotta lavorata, crumble di frolla, scorza d’arancia grattugiata e un 081 fatto di crema di pastiera (latte, grano, arancio) glassato al cioccolato bianco: un “prefisso” che diventa “predessert” e che per Ciro rappresenta la mamma, che chiama appunto con il prefisso di Napoli. E a “sbloccare altri ricordi” arriva pure la sollecitazione olfattiva dell’acqua di fiori d’arancia spruzzata nell’aria.

È dedicata invece alla nonna – Gelsomina – la nuova pizza dolce di Franco, che prende spunto dal succo di gelsi portatogli dal produttore vesuviano da cui acquista le albicocche per la sua Crisommola. Ma la fa raccontare a Kevin, giovane “passista” addetto a completare le pizze al pass: impasto fritto arricchito da burro, crema di gelsi, violette passite e scorza di lime, in un ping pong tra dolcezza e freschezza. Qui chiudiamo, stremati ma felici. Molto felici.

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